Uno si distrae al bivio: Giuseppe Palumbo

Intervista a Julie Doucet, inguineMAH!gazine n°1 – anno 1 (2003)

Solo chi ha un villaggio nella memoria può avere un’esperienza cosmopolita
Ernesto De Martino, da un’intervista radiofonica.


Museo Guttuso, Sicilia. Mostra fotografica di un iconaro fotografico del Sud, Ferdinando Scianna, dal titolo Quelli di Bagheria. L’esposizione, oltre a testi didascalici poetici e appassionati, ha per incipit questa frase di De Martino: mi sembra la giusta epigrafe anche per questo lavoro del prolifico Palumbo. È strano vedere un disegnatore non uso al mettersi al centro del racconto, osare rompere il muro dell’oggettivismo narrativo e inserirsi al centro della narrazione. La storia di Scotellaro, o meglio l’omaggio al poeta e uomo politico lucano, è soprattutto un mettersi in gioco dell’autore, un relazionarsi con il proprio “villaggio” e la propria memoria. Palumbo in questa storia è l’indiretto protagonista, un gioco di specchi che denuda il re: è vero, mi direte, che sempre alla fine del narrazione, come diceva Borges, un autore non fa che inventare o adattare geografie che disegnano il suo ritratto. Certo, a cercarlo fisicamente, il ritratto del nostro autore non lo trovo. Egli è una voce fuori campo, un interrogatore assorto e riflessivo. Il testo trasborda: tanto da fare da didascalia alla storia. Didascalico, anche, forse è questo l’aggettivo che per primo viene alla lingua alle prime due pagine: poi uno scarto, l’intervista al testimone prescelto come anello con Scotellaro. E successivamente, come in uno stemperamento della narrazione, si passa alla storia prescelta per essere narrata per immagini (siamo sempre sul didascalico, lo ammetto), Uno si distrae al bivio.

Palumbo fa una sorta di viaggio etnografico, proprio nel senso espresso da De Martino nei suoi testi: nel viaggio etnografico non si tratta di abbandonare il mondo dal quale ci sentiamo respinti e di riguadagnarlo attraverso la mediazione di una rigenerazione mitica variamente configurata, ma semplicemente si tratta di una presa di coscienza di certi limiti. In questo viaggio incontra un eroe canonizzato della sua terra, un maestro, una storia. Ma cominciamo dall’inizio. Chi era Rocco Scotellaro?


Scotellaro, amico di Carlo Levi e Manlio Levi Doria, fu una figura che sintetizzava molte delle caratteristiche del mondo meridionale alla rinascita del periodo post-bellico. Eletto sindaco giovanissimo della città di Tricarico nel 1946, collaborò con l’antropologo George Peck alla ricerca sulla comunità del suo Paese e accompagnò Friedmann in vari paesi della Lucania. Parliamo degli anni in cui anche Ernesto De Martino, proprio grazie alle ricerche condotte in Lucania, inaugurava una delle epoche più luminose per l’antropologia italiana.

Scotellaro fu in un certo senso l’interprete poetico di quelle ricerche, dell’elaborazione di un altro Sud: probabilmente un’elaborazione che non ha permesso successivamente un cambiamento adatto alla creatività, tanto che, come ci racconta indirettamente anche Palumbo, alcuni decenni più tardi tutto quel mondo intellettuale sembrava stantio, vecchio e non più interlocutore. Per chi, come Giuseppe, da lì a pochi anni avrebbe cominciato a collaborare con Frigidaire e a creare il primo supereroe masochista, quel mondo suonava come stonato e non allineato all’uscita dalla frontiera della cultura contadina e antica, non solo del meridione, ma di un’Italia che aveva ancora come simbolo un aratro. Ora però è giunto forse il momento in cui anche lui si sente trasportato dalla tempesta del tempo o forse la distanza ha fatto decantare il puzzo di muffa che si sente in paese a sentire parlare di paese.


Nella difficile strada della demarcazione tra Io e mondo, la storia di Scotellaro prescelta è un racconto paradigmatico che molto deve al mito di Ercole al bivio, e la scelta di questa precisa parola non è casuale visto che parliamo di un poeta.

Un mito antico come il mondo: da sempre infatti l’uomo si è trovato dubbioso e angosciato dal crocicchio, dalla divisione delle strade ovvero dalla scelta della direzione da prendere. Il bivio come luogo ha sempre generato ansia nel viandante ed essa andava regolata da un’apposita elaborazione culturale. I Greci avevano elaborato questo malessere, come loro solito, appioppandogli un bel mito. Ercole, l’uomo che si farà dio per buona condotta, un po’ trickster e un po’ supereroe, incontra da giovane, appartatosi in un luogo deserto per pensare, due donne: Voluttà e Virtù. Egli deve scegliere, e nella difficile operazione preferisce Virtù, intesa come valore. Questo mito ebbe molte rielaborazioni, soprattutto iconografiche, in particolare a partire dal Concilio di Trento in poi. Esso si è dissolto in moltissime rielaborazioni e sfumature, e credo che anche questa storia a fumetti, derivata dal racconto del giovane poeta di Tricarico, possa essere una lontana parente dell’antico bivio. In questo caso il bivio ha la forma di un fiume, e giustappunto non si può non pensare (questi meridionali purtroppo ti obbligano) all’eracliteo “nessuno si bagna nello stesso fiume”.

Mi sembra interessante che l’autore, nell’operazione di recupero di memoria che produce, dove appare forte anche il lavoro di elaborazione di una serie di pregiudizi del passato, scelga proprio questo racconto. Come se raccontandolo e disegnandolo, traesse anch’egli autorizzazione alla sua scelta. Scegliere di ricordare, di non spazzare via un’identità. Perché per essere cosmopoliti, bisogna avere il villaggio nel cuore: sempre De Martino delineava con molta chiarezza la necessità di avere una patria culturale, non per non avere dialogo con il mondo, ma per far sì che questo dialogo non diventasse “pettegolezzo, chiacchiera, camaleontismo”. Mettere in discussione il Meridione, per poterlo riguadagnare come patria culturale, questa la sua pratica. In questo senso Palumbo sembra portare avanti uno sguardo parallelo alla sua produzione altra con questo tipo di storie (ricordo anche una bellissima tarantata pubblicata su Blue).

L’omaggio al poeta prematuramente scomparso è malinconico e allo stesso tempo fa presentire un nuovo inizio. Il dilemma posto al giovane tra vita e morte è risolto, o così pare. E anche il dilemma di Giuseppe, di cimentarsi o meno, con questa fascina di memorie. Nell’estratto della poesia di Scotellaro che non possiamo non pubblicare, come personale omaggio al poeta lucano, ritorna il tema del bivio: egli è critico verso la strada che porta alla luna nel pozzo. Bisogna perdersi nei crocicchi delle scelte.


  1. Giovani come te


Quanti ne fissi negli occhi

superbi della strada, erranti

giovani come te.

Non hanno in ogni tasca

che mozziconi neri

di sigarette raccattate.

Non sanno che sperdersi

davanti alle lucide vetrine

alle dicende dei bar

ai tram in rapida corsa

alla pubblicità

padrona delle piazze.

Tanto perché il tempo si ammazzi

cantano una qualsiasi canzone,

in cui si chiamano fuorviati, si dicono

amanti del bassifondo

e si ripagano di comprensione.

Una canzone è per covare insano amore

contro le ragazze cioccolato

che sono un po' le stelle sempre vive

che sono la speranza

d'una vita sorpresa in un sorriso.

E quanti, ma quanti

vorrebbero la luna nel pozzo

una loro strada sicura

che non si rompa tuttora nei bivi. (…)



Rocco Scotellaro,


da Margherite e rosolacci