Non sparate sul disegnatore, inguine MAH!FIA – edizione speciale (2005)
Brahim Guerbi, detto Gegé, fu trovato con le mani legate con il filo di ferro e la gola tagliata vicino a casa. Dorbane fu ucciso con un’autobomba. Said Mekbel con una pallottola in testa in un bar del centro. Non erano corrieri della droga, piccoli esattori del racket o malavitosi in genere: facevano i disegnatori in Algeria. Come dice il mio amico Tahar Lamri, che ci ha raccontato queste storie, il fumetto è una cosa seria …Ce lo ha ripetuto come una specie di mantra durante il festival Komikazen di cui lui ha curato una sezione. Non immaginavamo certo quanto le sue parole sarebbero state confermate dagli avvenimenti degli ultimi tempi.
Nel nostro tempo le immagini sono tutto: questa frase suona terribilmente da luogo comune. Ogni scolaretto lo sa. Eppure chi avrebbe osato immaginare che forse la Terza Guerra Mondiale sarebbe stata scatenata da alcune vignette di un disegnatore scarso in Danimarca? Certo, c’è stata molta cattiva coscienza nell’uso che i poliziotti del mondo ne hanno fatto, ma è vero che durante i terribili anni ’90 che hanno sconvolto l’Algeria, i disegnatori sono stati tra le prime vittime del terrorismo. E che anche adesso i prolifici disegnatori turchi sono continuamente bersaglio delle denunce di Stato. E la censura, diretta o organizzata dalla distribuzione, opera anche nei nostri Paesi.
Quando abbiamo deciso di realizzare questo numero di Inguine dedicato alla mafia & co. nazionali, avevamo qualche dubbio sull’utilità e il senso di tale operazione. Si è portati di questi tempi ad essere travolti dal senso di impotenza, di inutilità che ogni azione, nel borbottio informe del mondo civile e politico che viviamo, si porta dietro. Forse questa è la condizione più terribile che condividiamo: l’essere solo un soggetto indefinito e passivo di immagini. Ogni decisione di prendere la parola è sempre mitigata e frenata dal senso di inadeguatezza. C’è un’omertà indotta, più strisciante e pericolosa di quella che vive chi si trova a diretto contatto con la malavita organizzata, e quindi di fatto ha almeno l’alibi del pericolo. Quella di chi non vive direttamente il rischio, ma si ritira nel suo silenzio indolente, rimpinzato dalle news delle veline dell’ansa e non reagisce allo stillicidio quotidiano di vite spezzate su strade non dissimili da quelle che percorre tutti i giorni per andare in ufficio. Basterebbero i numeri dei morti per comparare alcune zone d’Italia alla Striscia di Gaza. Ma così non è: non si nomina la strage civile che si compie. La retorica invasiva che corona ogni morte che esce dall’anonimato del giovane legato ai clan, rende ogni evento luttuoso uguale all’altro.
Dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino c’era stata una stagione fiorente di pensiero e di emersione dello spirito non solo in Sicilia. Per alcuni anni, la stampa, le scuole, i sindacati, le forze dell’ordine, i politici stessi, le associazioni, i singoli cittadini, si sono sentiti uniti da un comune denominatore. Era rinata la consapevolezza che anche una parola, un gesto potevano presumere di cambiare le cose. Soprattutto si era rotto il recinto dell’omertà e del disinteresse connivente. Poi, come purtroppo spesso è successo nella storia del meridione, è di nuovo calato il sipario, è sopraggiunto l’isolamento mediatico e politico, ed è tornato il silenzio. Non ci sono state più immagini a raccontare, né scrittori per narrare. C’erano certo singoli coraggiosi capitani Achab, ma come ogni scolaretto sa, la balena alla fine ha la meglio.
Improvvisamente (all’apparenza all’improvviso), accade qualcosa che di nuovo attira giornalisti, fotografi, narratori: perché non bastano le statistiche per fare le storie, ci vuole il protagonista. E purtroppo il protagonista è un amministratore regionale. Come è potuto succedere, così senza preavviso, si chiedono increduli gli spettatori dello spettacolo dell’informazione…Adesso ammazzateci tutti, apre un corteo in lutto, ma allo stesso tempo attore, che esce dal gorgo del silenzio – passività – spettacolo.
Non è sempre facile uscire dal gioco del luogo comune. La nostra mente ragiona per metafore, similitudini, associazioni casuali, e si abitua a reperire secondi termini di paragone da un mucchio di immagini cianfrusaglia che giornalmente ci spiattellano. Questa consapevolezza del limite non deve toglierci l’obbligo e il piacere di prendere la parola e di creare immagini. Così abbiamo deciso di chiedere e racimolare queste polveri di immagini e storie. Ma per favore, non sparate sul disegnatore.