In inguineMAH!gazine n°6 – (2005)
Bontempelli ne La vita intensa ci svela uno dei segreti della consapevolezza del vivere il proprio tempo: «Mettetevi davan- ti allo specchio, guardatevi, e dite forte: “Pensare che ho dieci anni meno che tra dieci anni!”». Questa semplice ricetta permette di essere maggiormente presenti a se stessi nel momento in cui, ad esempio, si hanno vent’anni. Non ci si può più sbagliare, non può più succedere che ci si accorga di avere avuto vent’anni solo quando se ne hanno trenta.
L’ideologia del fumetto, di come il fumetto vada fatto e debba essere, è una malattia che affligge molti, soprattutto gli editori. Ma a volte colpisce anche gli autori, che nascondono, sotto i veli del fumettismo, mani, abilità, storie, idee, autocensurate e oscurate, appunto, dall’ideologia.
Per fortuna esiste il coraggio dei leoni: Reviati è riuscito a tirarlo fuori, alla sua venerabile età. Non è vecchio, non voglio essere frain- tesa. È solo un giovane uomo affetto da congenita senilità.
A mio avviso egli non ha seguito il consiglio di Bontempelli, ma ha cercato la propria carta del tempo nella saggezza dello sgombero finale e nella vecchiaia che ti permette di attraversare i muri con la mente.
Egli comunque si è dedicato alla propria ricreazione stili- stica alla sua veneranda età. Ammiro molto questa capacità, di dimenticare tutto quello che si crede di sapere, di buttare alle orti- che l’estetica che sempre si è difesa e naufragare nel buio di una nuova mano, di un nuovo segno. Che, se è vero che la forma è anche contenuto, ha anche visibilmente fatto deviare il tracciato narrativo e la tela della storia.
Conoscevo questo modo di disegnare di Davide dai suoi quadri, che teneva quasi gelosamente nascosti dietro il suo esile corpo come segni imperdonabili di abbandono al sé. Questo è il segno con cui pastrocchia sui foglietti di carta vicino al telefono, il modo con cui lascia tracce sulla cellulosa al bancone del bar. Mi chiedevo perché poi, quando disegnava fumetti, il segno fosse altro: una sorta di dissociazione mentale, forse. Anche questo è un tema a lui caro, sia a livello personale che artistico. La malattia come forma di autoesclusione e difesa verso il mondo, il volersi obnubilare allo sguardo pur combattendo lunghe lotte per raggiungere quella che per lui rappresenta la perfezione segnica. Lottare con il bianco per ricongiungerlo alla propria immagine interiore del flusso di pensie- ro, senza perdere di vista la boa della narratività.
Ho litigato anche con lui per questo: è stato infatti per un breve periodo un mio insegnante di fumetto. Per una persona asso- lutamente non incline al confronto con la propria manualità e con la matita come me, assistere alle sue lezioni è stato un sorta di tortura con i cavi elettrici. Ma lo perdono, perché in questa sua nuova sto- ria ho visto finalmente un ideologo purificarsi dagli schemi e lasciarsi andare alla poeticità che gli è consona, e al segno che gli assomiglia.
Se il fumetto è un itinerario, un viaggio a rebours quando è narratività alta, questo breve racconto di Davide è un viaggio dal percorso ombroso, una selva in cui siamo attorniati da briganti bracconieri che ci portano stupore. È anche una selva popolata, non so quanto consapevolmente, di autobiografismi percettibili e spec- chianti. La scelta del protagonista, Dante Arfelli, innanzitutto. Egli rappresenta il paradigma dell’autore della provincia vitale che
all’improvviso raggiunge il centro. Un autore che emerge alla ribal- ta della notorietà letteraria internazionale, americana in particolare, in brevissimo tempo. Per poi dissimularsi e ritirarsi nel buio della propria nevrosi, rimanendo comunque per molti come un oggetto amato, ma troppo presto dimenticato. La fascinazione del disegna- tore per questo autore si intuisce già dalla labilità dei contorni del personaggio disegnato, che è il romanziere da giovane tornato a cercare se stesso, ma è al contempo l’autore alla ricerca del perduto romanziere. Chi cerca il personaggio “Arfelli da giovane”? Il nome della persona cercata è resa solo con l’iniziale. L’autore si schermi- sce in questa ricerca e non ci permette di accedere completamente alla sua cassetta degli attrezzi da sceneggiatore. Quasi ne fosse geloso.
Non vorrei fare della facile psicanalisi, non ce n’è necessità. Lo spaesamento, l’alambicco dello spazio e del tempo trovano una rappresentazione più che esplicita sia nelle parole che nella struttu- ra delle pagine. L’atmosfera che pervade la narrazione è una nota riconducibile sia alla biografia e all’ultimo testo di Arfelli, che alla personalità e all’indole dell’autore Reviati che è ammaliato da que- sta assenza e da questa rarefazione del tempo delle occasioni e degli appuntamenti mancati.
E così torniamo a Bontempelli e alla sua Vita intensa: egli difatti sostiene che...
...la cosa più caratteristica del mondo moderno non è: né il tranvai
né la penna stilografica
né il cinematografo
né l’accendisigari automatico
né il motore a scoppio.
Queste sono cose di natura materiale. Invece il carattere di un tempo non può essere se non un fatto o atteggiamento spirituale. Ciò posto affermo che:
la cosa più caratteristica della vita moderna è l’appuntamento. ..Ho ragione, perché non riusciamo ad immaginarci un antico che arriva tardi ad un appuntamento. Ciò basta per dimostrare che gli antichi non si davano appuntamenti.
I moderni invece se ne danno tutti i giorni.
Reviati per essere forzatamente antimoderno, come nel romanzo di Bontempelli, malgrado tutta la buona volontà all’appuntamento arriva in ritardo. E non lo dico in senso metaforico o traslato: egli effettivamente desiderava incontrare Arfelli, il quale però nel frat- tempo finì i suoi giorni. Al suo appuntamento quindi Davide ci arri-va solo adesso, avendoci pensato per diversi anni e riconducendo tutta quell’attesa e la stupida (a mio avviso) ritrosia di chi pensa che ai grandi o a coloro che reputiamo tali, dispiaccia la nostra presen-za, il nostro cercarli e ringraziarli per averci deliziato delle loro opere, a tradursi in una storia a fumetti che segna l’inizio di un nuovo percorso narrativo. In questo tardivo incontro, sbaglia luogo, confonde le case di riposo. Nasconde così il suo ritardo, o forse conti- nua a mostrare la sua ritrosia. Il transfert che ha messo in gioco in questa storia è certamente pericoloso: spero che non ci impieghi, come Dante Arfelli, tutta una vita per ricreare un’altra storia come questa.