Pubblicata su Egitto senza piramidi, GIUDA edizioni (2011)
Metro è la prima Graphic Novel egiziana ed è per questo che sulla copertina era specificato nella versione araba “solo per grandi”. Il fumetto nel mondo arabo e in particolare in Egitto, ha una storia travagliata e strettamente connessa al clima politico.
Indubbiamente la vicenda figurativa dell’Egitto contemporaneo, e in parte anche di tutto il Maghreb, ha inizio con l’arrivo di Napoleone Bonaparte. Come sempre, un incontro, anche se conflittuale, fa sempre scaturire anche qualcosa di nuovo. L’innovatore Mohamed Alì avvia un’intensa attività di scambi culturali, traduzioni e invia studenti a formarsi in Europa, anche in Arte. Questo passaggio storico, chiamato “la Rinascita”, costituisce un punto di svolta importante per la cultura figurativa di tradizione islamica, perché permette di superare in parte il tabù visivo legato alla rappresentazione realistica di figure animate, escluse per secoli dall’ambito pubblico, e tollerate in ambito strettamente privato. Divieto dovuto all’interpretazione dei teologi e non ad una indicazione del Corano, tuttavia esso ha avuto un valore e un significato che costituisce il trait d’union di una tradizione visiva che condotto un mondo amplissimo geograficamente e diverso per tradizione e cultura ad attestarsi per secoli a rappresentazioni geometriche e alla cura della calligrafia come forme alternative d’arte. Questa premessa è fondamentale per comprendere perché nel mondo arabo e in particolare in nord Africa i disegnatori siano stati così spesso e duramente colpiti dal potere.
La prima pubblicazione illustrata, ovviamente per bambini, nasce comunque in Egitto nel 1893, Al-Samir Al-Saghir, seguita poi negli anni ‘40 da altre due pubblicazioni sempre per l’infanzia e sempre nate in Egitto.
Curioso notare che pochi mesi prima del colpo di stato di Nasser nasce sempre in Egitto il primo giornalino a fumetti propriamente detto, Sindabad. Curioso notare la simmetria geografica e storica di eventi di per sé così diversi e lontani: la nascita di una rivista a fumetti per bambini e l’uscita di Metro, primo romanzo grafico del mondo arabo, sono entrambi strettamente connessi a cambiamenti politici in corso, come se l’immagine e la retina percepissero in anticipo l’arrivo del terremoto. Cosa che non si può dire per molti osservatori politici e giornalisti, che certo non avevano predetto la fine di Mubarak.
Negli anni ‘60 si riversa una grande produzione di origine belga e francese, che però non mina completamente la produzione in lingua araba. Anzi, il partito Baath, al potere in Iraq e in Siria, finanzia direttamente due riviste Majallaty e Usamat.
Ci sono poi ovviamente le traduzioni dal francese e dall’americano, ma non mancano importanti autori, anche di ambito politico soprattutto di impronta satirica a calcare la scena. Ad esempio il famosissimo e sempre egiziano Ashraf Hamdi, che ha come personaggio principale oggetto della sua satira Gheddafi: “Vorrei dire al popolo libico che con la rivoluzione sta facendo un grave danno a noi disegnatori satirici. Come faremo senza Gheddafi?” ha ironicamente sostenuto in un’intervista. E difatti è la satira a farla da padrone per diversi decenni in tutto il mondo arabo ed anche in Egitto.
La scelta di Magdy di raccontare una storia lunga, senza tratti satirici, che ha come fondo la critica sociale, ma che al contempo si muove sulla trama consolidata dell’amore e dell’avventura, è un discrimine importante per la forma fumetto in lingua araba, dove c’è sicuramente un movimento tellurico di giovani disegnatori che producono riviste (vedi ad esempio i libanesi di Samandal), storie brevi, vignette, ma ancora non era uscita un’opera Paese. Ci sono difatti disegnatori che provengono dal nord Africa o dal Medio Oriente e che in Francia o in altri Paesi europei hanno disegnato storie lunghe, ma sono testi che non si rivolgono al pubblico dei loro connazionali. Spesso infatti hanno un forte tratto malinconico, un acerbo senso di spaesamento, e l’intento è di parlare una lingua che comunichi questa identità in movimento a chi è nel paese ospite.
Il romanzo grafico di formazione Persepolis, scritto non in farsi ma direttamente in francese, dalla disegnatrice iraniana Satrapi non si rivolge agli iraniani per sua esplicita dichiarazione. È un lavoro nato con l’intento di dimostrare che non tutti i persiani sono brutti, cattivi e terroristi. E che si può sopravvivere avvalendosi della potente arma dell’ironia, anche quando si è costretti all’esilio.
Il traduttore italiano di Metro fa bene a sottolineare anche l’aspetto prettamente linguistico di questa diversa scelta: El Shafee non ha deciso di scrivere in arabo classico, una lingua frigida e lontana dalla strada, che come tutte le lingue generate a tavolino e che devono dimostrare senza alzare il dito uno status sociale, poco o niente hanno di pathos e di profondità. Invece senza paura Magdy sceglie il dialetto egiziano, quello che parla la gente, quello che risuonava a piazza Tahrir.
Metro segna il territorio, lo si vede dalla lingua scelta, dal linguaggio utilizzato, dalla scelta narrativa di seguire le stazioni della metropolitana. Un luogo lontano dalle piramidi e dalle spiagge per turisti del Mar Rosso. Un luogo in cui i nomi delle fermate evocano chiaramente la storia recente dell’Egitto, Nasser, Sadat, addirittura Mubarak. Come se la metro di Milano avesse la fermata Berlusconi.
La geografia è una rappresentazione grafica di un territorio che mai potremo possedere in altro modo, è il nostro sguardo sulla terra e la nostra interpretazione. Muoversi nelle fermate della metropolitana e conoscere simbolicamente l’underground de Il Cairo è possibile attraverso le strisce di Magdy, che si rivolge principalmente ai lettori del suo Paese, che sfortunatamente per colpa della censura non lo possono leggere. È un’occasione per noi di godere di un privilegio ad altri negato.