Catalogo "Marjane Satrape ovvero dell'ironia dell'Iran"
Edito da Lizard Edizioni, 2003
Leningrado, dicembre 1990. Un mondo che si sta per disgregare, assumere nuovi nomi, nuovi contorni, abbracciare nuovi simboli. Il tratto di Raul trova carne per la sua traccia: appaiono nelle sue sintesi in filigrana gli echi di una Spagna che ha conosciuto bambino o che ha immaginato dai racconti delle storie familiari. Un mondo di volti contadini che si contraggono in narrazioni visive in una mappa iniziale che considera la storia il condensato del vissuto nello sguardo e nel labirinto delle linee che compongono i volti.
Finestra sull'occidente è un viaggio iniziatico che testimonia una fine e compone una sinfonia intensa di nostalgia. Nel Paese in cui il fumetto ha avuto destino alterno, censurato ma comunque presente in una tradizione figurativa iconico quale quella bizantina che spesso utilizza sequenze affini, protostoriche, del fumetto, la narrazione vera e propria si apre con una metafora tra modalità di pensiero e comportamento sociale e fumetto che sarebbe piaciuta a Orlando Figes, lo studioso inglese che ha provato a ricostruire in un'opera recente1 il privato e il non detto dell'epoca staliniana e sovietica in genere. Un'epoca che viene presentata dall'estesa ricerca del docente britannico come un periodo nel quale ciò che si dice e ciò che si pensava non corrispondevano, o perlomeno andava fatta una selezione continua e attenta, una rimozione perspicace del verbale: come dice il protagonista della prima storia, ciò che penso può stare solo nelle didascalie, non nei balloon. Questo breve romanzo è una estesa metafora sulla forza del fumetto e sulla narrazione, che allo stesso tempo ci regala una delle più coinvolgenti letture sulla fine di un mondo.
La radiografia dei volti continua, nei piccoli gesti dell'apparecchiare una tavola, un gesto antico che prepara il fuoco intorno al quale le storie nascono. La narrazione come salvezza, l'ironia come salvagente. È un decameron moscovita in cui fuori imperversa una tempesta da cui i protagonisti si proteggono con la vodka e le storie. Ogni narrazione ricrea ogni volta un mondo che si compone del momento e che scioglie la possibilità della memoria in una tormentata nostalgia in cui le immagini diventano simboli, si dilegua l'ossessione dell'ombra e la parca geometria intrisa di macchie diventa la nota visiva che ci ricorda quanto è perduto della linea. E la storia ha bisogno di un inizio. Delle storie prime: perché siamo diventati cristiani? E poi con un salto che dimentica consapevolmente vari secoli gli anni venti, quelli del disincanto, con una storia di amore, poesia e calcolo differenziale. E poi, per non affogare nel melodramma, una storiella, di quelle sovietiche. Quelle che fanno ridere fino alle lacrime. E poi? Poi arriva Napoleone, virtuoso e manierista nella linea. Cavalli barocchi. Animali che ci guardano negli occhi. E dopo il silenzio di Napoleone rimane Larissa, l'unica donna, l'armena di minoranza. “Racconta una storia”. E la storia diventa una storia che potrebbe essere popolare, con i tratti della fiaba, con la morte che ci ripensa. Mentre il mondo è distratto da altro, da nuovi slogan, da nuove armi. Neanche la ghigliottina funziona più: la Francia l'ha usata per l'ultima volta nel 1980, sono passati ormai dieci anni. E neanche la potenza funziona più come arma in questa ultimo appartamento sovietico in cui si raccontano storie. Rimane la finestra attraverso cui continuare a guardarsi. Una finestra che è quella del fumetto.
1 Orlando Figes, Sussurri e sospetti