testo in “Cairo Blues”, Giuda edizioni (2012)
Rappresentare l’altro è uno di quei temi che ha interessato l’arte del novecento e messo a dura prova quella del nuovo millennio.
L’Altro, come diceva Lévinas, venendoci incontro ci “espelle” dalla nostra solitudine.
Le storie di Creanza ci impegnano all’incontro, all’andare verso l’umanità dell’altro, che esce dalla sua porzione di anonimato, dal suo essere “l’egiziano”, la “donna velata”, il “giovane”, e diventano volto e sguardo che si interseca al nostro guardare. I frammenti di vita quotidiana che con tratto realistico compongono questo blues, termine che non connota un sottofondo musicale, formano un quadro che non aspira alla frigida oggettività, ma alla poetica vicinanza.
Il blues prende il nome dall’espressione “avere i diavoli blu” per esprimere un senso di tristezza e profonda malinconia, ed è una musica detta anche stonata. Come stonate sono le visioni di Creanza, fuori dall’immaginario precotto di media che cercano lo spettacolo e l’effetto emotivo facile; accordi stonati come la storia sulla minoranza copta, tema scottante e sospeso, che viene presentato in modo funzionale ad ideologie di sistema in Europa, e che diviene invece attraverso questa breve storia un pezzetto comprensibile, attuale, con visi e occhi. Stonato è sbagliarsi nella metropolitana e andare come “uno stupido turista” nel vagone riservato alle donne.
Con il suo sguardo “strabico” Pino guarda con empatia, ma anche con una distanza partecipe, un paese che è tuttora sconosciuto ai nostri connazionali, che non vedono nulla oltre alle piramidi e ai fondali del Mar Rosso, turisti gated community, non molto diversi dalle comunità chiuse dai cancelli dei nuovi businessmen egiziani. E ne coglie con grande sintesi elementi di contraddizione, cartografando le pulsioni nascoste. Queste radiografie visive hanno dimostrato quanto lo strabismo della curiosità sia una specie di qualità mantica.
Così nella storia “Kifaya”, pubblicata nel 2010, Creanza evidenziava lo stridente contrasto tra interessi comuni dei poteri forti egiziani e americani, la banalità dell’occidentalizzazione globalizzante e l’utilizzo degli stessi mezzi per ritrovare la propria voce del popolo del dissenso. All’epoca, ovvero neanche un anno fa, gli osservatori prezzolati di questi paesi non prevedevano cambiamenti in atto, parlavano quasi con stima di Mubarak, considerandolo un “filoccidentale democratico” contrapposto ai fondamentalisti. Eppure, sono bastati pochi mesi per ribaltare completamente la situazione e far vedere il marcio che bolliva sotto l’aura di apparente legittimità politica. L’autorità che si sorregge sull’autoritarismo spesso è mascherata di una parvenza decorosa; utilizza rituali comuni e nasconde nella procedura democratica l’assenza di valori democratici come la difesa delle minoranze, la coesistenza con il dissenso, il ricambio generazionale e sociale. Tutti ingredienti assenti nel paese del generale deposto, e che purtroppo latitano anche alle nostre latitudini.
L’efferato omicidio della pop star libanese Suzanne Tamim nel 2008, che ha interessato la stampa ufficiale e scandalistica di tutto il mondo arabo per circa due anni è un episodio che evidentemente fa venire “i diavoli blu”. Ha scosso l’opinione pubblica, è stato utilizzato come calmiere sociale per dimostrare che la giustizia esiste anche per i potenti, ha messo in discussione indirettamente il movimento contro la pena di morte in Egitto. L’epilogo, che ovviamente non compare nella storia di Creanza perché scritta prima, la dice lunga. Il potente imprenditore e affarista incriminato alla pena capitale non è stato sentenziato per un vizio di forma ed è stato condannato a 15 anni di reclusione. Pare che durante le rivolte del 2011 sia riuscito ad evadere di prigione.
Così aspettiamo il secondo episodio di questa storia paradigmatica e struggente, che porta in sé tutte le pillole del foiletton, purtroppo tragicamente reale. Successo, affari, politica, amore, gelosia, sangue. Quello che rimane sono le parole “I will not shut up” di una nota canzone della Tamim e che è anche il titolo della storia di Pino: “non starò zitta”, parole che suonano profetiche per la scelta di alzare la voce di tante giovani nelle piazze del Cairo.