Elogio del paesaggio Intervista a Silvia Camporesi


E' possibile che il pensiero prenda forma in immagini? Proviene da studi filosofici l'artista Silvia Camporesi, protagonista insieme a Valentina Accardi a Rimini del progetto “Vie di dialogo”. Silvia, classe 1973, ed è sicuramente una delle artiste della nostra regione su cui tenere gli occhi puntati: per il rigore del lavoro, per la ricerca formale e intellettuale alla base di ogni progetto che usa la fotografia come mezzo puramente artistico.


- Quando si è consumato il tuo incontro con la fotografia? Come soprattutto si è consumato questo incontro...

- Ero verso la fine dell'Università dove studiavo Filosofia, e ho incontrato alcuni fotografi che mi hanno insegnato la tecnica in maniera molto basilare, stampando in camera oscura. Quando ho cominciato a fotografare ho capito subito che non era solo documentazione, ma uno strumento con cui potevo inventare dei mondi. E quindi ho subito inserito un aspetto più filosofico nella ricerca.

- Quindi per te questi due aspetti sono allineati, in dialogo, filosofia e fotografia. Raccontaci come è possibile questo incontro...

- Per me la fotografia non è lo scatto, ma anche tutto il lavoro che precede e segue. Se tratto ad esempio il paesaggio, faccio miei alcuni concetti filosofici che affrontano questo tema e poi cerco di tradurli in immagini. Magari non letteralmente. Ma quel tipo di ricerca nasce per aver letto Foucault o Perec. Non uso la fotografia per documentare, ma la uso per raccontare un'idea. Lo scatto è l'ultimo atto di un processo molto lungo.

 

- Il percorso che è cominciato alla fine dell'Università come si è svolto, come sei arrivata all'oggi: luci ed ombre...

- Non avevo ovviamente i riferimenti tipici di chi fa un'Accademia. Ho cominciato a studiare, vedere, curiosare da sola. E partecipando a dei concorsi. Parlo di un'epoca in cui essi erano uno strumento molto valido, prima che la parola “crisi” diventasse la porta che chiude tutto. In Italia e soprattutto in Emilia Romagna per i giovani artisti c'erano molte opportunità. E quindi per anni sono andata avanti vincendo concorsi...

 

- Come ad esempio il premio Guercino a Bologna...

- Esatto. Potevano essere sostegno economico o mostre. Così comunque ho conosciuto i galleristi che hanno cominciato ad espormi.

 

- E oggi?

- Mi sembra che la situazione sia scivolata in maniera tragica. Finché non passa questo periodo terribile...non so, ho poca fiducia.

 

- Cosa si dovrebbe fare?

- Non certo formarsi! Un artista deve poter lavorare, esporre, produrre.

 

- Questa mostra di Rimini che cosa presenta?

- è un progetto che in corso, un viaggio in Italia a tappe. Sto visitando tutte le Regioni italiane e fotografo i paesi abbandonati per un libro che poi uscirà all'inizio dell'anno prossimo per Corraini. Nella mostra di Rimini ho esposto la tappa Emilia Romagna. Per cui il lavoro sui paesi, i luoghi abbandonati nella nostra Regione.

 

- Sei affascinata quindi dall'abbandono?

- Mi interessano soprattutto i luoghi poco noti, quelli che non sono compresi nel classico immaginario del sistema Italia. E ora con questo progetto, avendo ricevuto il sostegno di 15 collezionisti che finanziano la ricerca, ho avuto la possibilità di scandagliare visivamente questo aspetto. Mi interessa di questi luoghi la loro fragilità. Il fatto che quando li vado a fotografare sono in un momento della loro storia che li vede in un processo di cambiamento repentino, perché di lì a poco crollano, oppure saranno ristrutturati.

 

- E' un po' la malia della vertigine, del precipizio, vedere la prima della fine. La tua non è documentaria, può essere intesa come opera di salvaguardia di un luogo o comunque il flusso delle cose prevede la sparizione?

- la questione della memoria non mi interessa in particolare, a me interessa soprattutto la loro condizione dei luoghi in quel momento. Lì ci sono state persone e quindi perchè se ne sono andate. Sfuggo quindi alla documentazione anche perchè c'è un intervento massiccio di post produzione: le foto sono in bianco e nero e io le ricoloro a mano con dei colori innaturali, molto morbida. Inusuale.

 

- Sei come tornata alle origini della fotografia...

- è anche un'azione concettuale, l'idea di colorarli è dedicare tempo e cura a qualcosa che sta sparendo.

 

- Della nostra Regione quali sono i luoghi che ti hanno colpito di più?

- Sicuramente il teatro di Novi, chiuso prima del terremoto e poi ulteriormente danneggiato dal sisma. Oppure paesi abbandonati come Formignano sopra Cesena. S. Antonio sopra Modena. Discoteche del riminese lasciate alla natura... di posti ce ne sono tantissimi. Li ho scelti anche in base alla loro estetica.

 

- Hai anche gallerie che ti seguono oltre ai collezionisti?

- Sì, la Photographica Fine Art di Lugano e la Z2O di Roma.

 

- E con la galleria di Lugano hai fatto anche un progetto internazionale?

- sì, con loro ho potuto proseguire un lavoro sul paesaggio che avevo iniziato a Venezia, facendo un'indagine sull'Armenia. Ovviamente il collegamento era dato un filo come S. Lazzaro degli Armeni che segna anche topograficamente due luoghi apparentemente così distanti.

 

Si può vedere il progetto sui luoghi abbandonati in Regione a

VIE DI DIALOGO/4

Silvia Camporesi / Valentina D’Accardi

A cura di Claudia Collina e Massimo Pulini

Museo della Città di Rimini, Ala Nuova

6 settembre 2014 – 26 ottobre 2014. Inaugurazione 6 settembre ore 18

orario 10-13 / 16-20 / lunedì chiuso

ingresso libero

 

Sito personale http://www.silviacamporesi.it

Gallerie di riferimento

www.photographicafineart.com

http://www.z2ogalleria.it