Editoriale, inguineMAH!2009 (2009)
Sto nel cuore del secolo.
(O. MANDELSTAM)
Come se io dovessi attraversare dei millenni,
perché un paio di attimi mi rincorrono con il bastone.
(T. BERNHARD)
Che cosa cerchiamo nelle figure? Il flebile suono del riconoscimento, un ricongiungimento al disegno del nostro corpo, oppure lo specchio dell’altro e del suo corpo piegato sulla carta.
In questo primo decennio indefinito di un nuovo millennio e di un nuovo secolo, sembra che la logica stessa del riconoscimento si sia dissolta. Essa ha lasciato spazio all’autoreferenzialità, al chiacchiericcio indistinto, alla distrazione e al divertimento, che essenzialmente hanno lo stesso significato. Ci si intrattiene, non si dialoga. Si fanno riunioni, non si ascolta. Lo spazio antropologico della ricerca dell’umano si è ridotto in termini ormai preoccupanti, oppure è diventato anch’esso spazio “divertente” come la taranta in Puglia, epurato del contenuto, spesso di significato, di cultura delle classi subalterne.
L’antropologia ci manca: è un secolo di vita di Levi Strauss, e un amico mi dice – “Chi? Quello dei jeans?”. In effetti l’antropologo non ha un marchio depositato. Ma ha raggiunto un secolo di vita, osservando figure, tradizioni, riti, miti… Un lungo sguardo fanciullesco che per alcuni versi può considerarsi “sorpassato”, ma che continua ad interrogarci sul nostro guardare, vicino e lontano dall’ombelico.
Con questo numero corposo stringiamo gli occhi per acuire lo sguardo, per stare dentro il cuore del secolo ed ascoltare il suo battito. Guardando le figure, come alfabeto che viene prima, in attesa di nuovi antropologi che interpretino i segni di una comunità che si riconosce attraverso il disegno.