Uno sguardo afrofuturista.
di Elettra Stamboulis
L'afrofuturismo è nato ieri, ma ha come orizzonte solo il domani. L'aspetto peculiare di questo poliedrico movimento estetico, nato sostanzialmente negli anni '70 e '80 tra gli afroamericani, ma divenuto ben presto un prisma comune alla diaspora africana nera in generale, è l'indagine sul tempo. Movimento composito, fatto di artisti visivi, musicisti (da Sun Ra ai Public Enemy), teorici e attivisti/e, ha nel suo DNA l'immaginare una giustizia più vasta e una più libera soggettività nera nel futuro. Futuro che può essere anche distopico: l'aspetto però che non manca mai in questo tipo di sguardo è la messa in discussione della temporalità lineare. Il termine fu coniato da Mark Dery nel 19941, che esordiva citando Orwell "chi controlla il passato, controlla il futuro: chi controlla il presente, controlla il passato". Dery partiva da un quesito formale, perché gli intellettuali afroamericani non fanno science fiction? Non immaginano il futuro? E per rispondere, interrogava una serie di importanti testimoni, per scoprire che non c'è un unico modo di porre quesiti sul futuro. Victor Fotso Nyie è sicuramente un artista che interpreta il mondo utilizzando gli occhiali afrofuturisti. Lo fa utilizzando una tecnica antichissima, primordiale, che Cavalli Sforza2 considera provenire dall'Africa Sahariana come i geni, i popoli, le lingue, circa 100.000 anni fa. Proprio il genetista di Stanford, che utilizza diffusamente dati genetici, la mappatura del DNA, l'archeologia e la linguistica, definisce la cultura come il più valido strumento di adattamento biologico. Nelle figure antropomorfe di Victor, che evocano nelle forme qualcosa di profondamente arcaico, sopito nel nostro subconscio archetipico, lì dove alberga la percezione della nostra comune specie, c'è un elemento ironico, che rompe la prevedibilità della forma, inserendo una possibile "futurità", a partire dai due gemelli (un elemento prettamente autobiografico, sono la rappresentazione dei suoi fratelli minori) che reggono un vassoio patrimoniale dorato. Oggetti scomposti e anacronistici, che portano il passato del patrimonio africano naufragato e saccheggiato, ad una tavola imbandita di futuro. "Che cosa se ne potrebbero fare di una restituzione ora del patrimonio de-identificato e sottratto al suo tempo i miei fratelli?", si chiede l'artista. Certo, la memoria ha gole profonde, ristagna e forme pozze dove meno ce l'aspettiamo, in attesa che la corrente riprenda. Non ha un andamento lineare, ci dice l'afrofuturismo. E così il ragazzo dormiente, con la copia di un'opera originale tradizionale tra le mani, immagina un futuro possibile, ma ancora che rimane onirico.
Il sogno è un elemento ricorrente e trasparente in questa serie di lavori: da Rêve lucide in cui il sogno lucido porta ad una possibilità di allattamento dorato a Suivre ses rêves in cui l'aspetto autobiografico si connette alle aspettative di un continente. Il mondo inconscio culturalmente inesplorato di generazioni diventa terra tra le mani ed è forgiato dal giovane camerunense con estrema maestria tecnica unita ad uno sguardo acuto, un Regard passioné per citare un altro titolo, ironico, ma anche determinato e non subalterno.
La figura inquieta di Vue céleste che guarda spietatamente lo spettatore che si riflette negli occhi incavati e dorati ci ricorda quanto il sacro ci riporti alla nostra limitatezza, al nostro limite materiale e visivo, al nostro sguardo che spesso ha orizzonti supinamente post coloniali.
La graine qui germe è quindi una promessa, una scommessa, un intento civile e artistico. Il seme che può germogliare dalla riconnessione con la propria storia culturale potrebbe costituire un parto intellettuale nuovo, dorato, sorpreso. E Victor ci ricorda che questo cambiamento è possibile.
1 M. Dery, “Black to the Future: Interviews with Samuel R. Delany, Greg Tate, and Tricia Rose.” In Flame Wars:
The Discourse of Cyberculture. Edited by Mark Dery, 179–222. Durham, NC: Duke University Press, 1994.
2 L.L. Cavalli Sforza, Geni, popoli e lingue, Adelphi, Milano - 1997 (ed. or. 1996)